I posti del "Mito" La Kasbah di Algeri




La Kasbah di Algeri
La Kasbah di Algeri (in arabo al-Qasba) è il cuore storico e labirintico della capitale algerina, dichiarata Patrimonio dell’Umanità UNESCO nel 1992. Si tratta di una cittadella fortificata di epoca ottomana (XVI-XIX secolo) arrampicata su una collina ripida che domina il Mediterraneo, con vicoli strettissimi, scale infinite, case bianche imbiancate a calce, moschee, palazzi e un’atmosfera sospesa nel tempo. È uno dei pochi esempi ancora intatti di architettura medievale maghrebina.
Nel cinema è diventata un’icona assoluta grazie a:“La battaglia di Algeri” (1966) di Gillo Pontecorvo, girato quasi interamente nei vicoli reali della Kasbah (non in studio), ancora oggi il film che più di tutti l’ha resa famosa nel mondo.
Altri film la hanno raccontata: soprattutto il grandissimo “Pepe le Moko – Il grande criminale” (1937) di Julien Duvivier con Jean Gabin, girato in gran parte negli studi francesi ma con alcune preziose seconde unità proprio nella Kasbah vera di Algeri. Il film ha creato il mito romantico-tragico della Kasbah come labirinto in cui perdersi e morire d’amore o di polizia. “Totò d’Arabia” (1974), dove Totò (in realtà è il suo ultimo film completato da altri dopo la morte) finisce proprio nella Kasbah di Algeri, con scene girate tra i vicoli e sul tetto della città vecchia. Da non dimenticare "Totò Le Mokò" (1949), regia di Carlo Ludovico Bragaglia dove Totò interpreta Antonio Lumaconi detto “Totò le Mokò”, un ladro napoletano che si nasconde nella Kasbah di Algeri esattamente come Jean Gabin. Gran parte del film è girata in teatro di posa (Cinecittà), ma la ricostruzione della Kasbah è così fedele e dettagliata che per decenni gli spettatori italiani hanno pensato fosse quella vera! È una delle parodie più celebri e amate di Totò: quando dice «Je suis Totò le Mokò!» con l’accento napoletano-francese è un momento cult assoluto, una delle battute più celebri di Totò le Mokò (1949):Totò, chiuso nella sua stanza della Kasbah, guarda fuori dalla finestra i vicoli, sospira e dice con quel suo accento inconfondibile:«Casba mia… Casba mia… per piccina che tu sia» (parodiando il «Casbah… Casbah…» malinconico e romantico di Jean Gabin in Pépé le Moko) .In realtà Totò la pronuncia in modo volutamente storpiato e napoletano: «Casba’ mia, Casba’ mia…», con la “b” morbida e l’aria da principe decaduto. È un momento di comicità pura ma anche di tenerezza: Totò trasforma il dramma esistenziale di Gabin in nostalgia comica, e quella frase è rimasta nell’immaginario italiano come il simbolo perfetto della Kasbah “all’italiana”.Ancora oggi, quando qualcuno ad Algeri sente un italiano dire «Kasbha mia…», sorride subito: sa che è un omaggio a Totò!







Foto di Enrica Quaglia e mie - cliccare per ingrandirle




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